Grazie, Marchionne

Ringrazio Sergio Fedele – iperattivo cittadino campano pieno di senso civico, già presidente dei piccoli imprenditori campani di Confindustria nei miei anni napoletani – per la candidatura dell’amico Maurizio Marinella alla presidenza della Camera di Commercio di Napoli. E come Fedele anche io voglio riportare la bella intervista del Corsera.
E regalarvi alcune foto che ritraggono il mondo di Maurizio che ci appartiene. #salottodelleganza in Italia Stati Uniti e a #casasanremo

L’intervista a Maurizio Marinella
Di Elvira Serra

Così mi spiazza. E la cravatta?
«Ce l’ho sempre, ma sono arrivato accaldato e l’ho tolta».

Però adesso non posso chiederle di mostrarmi il difetto.

«Allora dopo gliela faccio vedere. È vero, porto sempre cravatte difettate, come mio nonno e mio padre. Mio nonno indossava cravatte poco rappresentative perché diceva che il cliente non avrebbe mai comprato la stessa del commesso. Mio padre sosteneva che se ne indossi una troppo bella poi il cliente non riesce più a sceglierne un’altra».

E in quella di oggi cosa non andava?
«Era di un cliente che se l’era sporcata al ristorante, è venuto a prenderne un’altra e me l’ha lasciata. Mi pareva un peccato buttarla».

Maurizio Marinella indosserà la cravatta, appena un po’ scolorita all’interno, per la foto ricordo nel microscopico negozio sulla Riviera di Chiaia, «quanto di più autenticamente inglese si possa immaginare» a Napoli, come scrisse Matilde Serao dopo l’inaugurazione, nel 1914. Da allora, i venti metri quadrati di marmo e mogano sono rimasti uguali. Maurizio, terza generazione del marchio, è un uomo semplice e pieno di passione per il suo lavoro. Soprattutto, è felice di quello che ha. Per dire il tipo: qualche mese fa Men’s Ex, un magazine giapponese piuttosto glamour, è venuto in Italia a raccontare la giornata di dieci ceo. «Mi chiesero di fotografare la mia auto, ma ho una Smart. “Avrà di sicuro una barca”; no. Era un no dopo l’altro. Alla fine abbiamo usato un’Audi parcheggiata in cortile, la barca me la sono fatta prestare da uno del Circolo Posillipo. Sono andati via distrutti psicologicamente».

Sul serio ha fatto una cravatta anti jella?
«La vendiamo moltissimo! Ha un piccolo cornetto: un po’ di scaramanzia ci sta bene».

E quella anti macchia?
«Lo schizzo della pasta scivolava via. L’abbiamo abbandonata perché non dava la sensazione di morbidezza che la seta trasmette».

Chi disse: «Una cravatta bene annodata è il primo passo serio nella vita»?
«Oscar Wilde?».

Giusto. Davvero ci sono 85 modi di annodarla?
«Questi sono i soliti americani, bravissimi a fare elucubrazioni mentali. Di nodi se ne fanno due o tre, spesso nella vita uno solo. Io ne so fare sei o sette».

Non è ancora riuscito a metterla al Papa.
«Lì è un attimino più difficile, ma sarebbe un sogno per me».

Quante ne ha?
«Non tantissime, forse una cinquantina».

Le sa fare?
«Non so cucire, ma le saprei tagliare e assemblare».

Quanto tempo ci vuole?
«Noi ci mettiamo 45 minuti dal taglio. Tutte fatte a mano, eh. Mi fa piacere dare lavoro alle signore di qui, sarte bravissime».

Qual è stato il fatturato 2017?
«Diciassette milioni: abbiamo chiuso con +10 per cento. Ma lavoriamo con il freno tirato: realizziamo 160 cravatte al giorno a fronte di una richiesta di 800».

Allora da cosa è dato l’incremento?
«Vendiamo anche altro, fin dagli inizi: camicie, maglioni, scarpe. E abbiamo creato una linea di accessori per donne, perché i mariti non potevano tornare a casa con la centesima cravatta senza portare qualcosa alle mogli».

L’ultimo cliente importante?
«Nel weekend è venuto Andrea Bonomi».

Domenica avete aperto solo per lui?
«Noi siamo sempre aperti tutti i giorni dell’anno, escluso il 1° gennaio e il 25 dicembre».

Tira su lei la saracinesca alle 6?
«Certo, chi vuole che scenda a quell’ora…».

Sarà felice sua moglie…
«E infatti non stiamo più insieme».

Tutti i presidenti della Repubblica hanno portato la sua cravatta.
«Da De Nicola in poi. Con Napolitano giocavamo in casa. Cossiga era appassionato di pois grandi, impazziva per un libro che ho in negozio sulle cravatte reggimentali: si metteva in un angolo a sfogliarlo».

L’hanno indossata anche i presidenti Usa.
«I Kennedy le mandavano a prendere, solo John John veniva spessissimo, quando andava a Capri. Dare le cravatte a questi personaggi non è facilissimo. Si fa tramite ambasciata».

Ultima visita illustre?
«Camilla, che ha scelto le cravatte per il principe Carlo. È stato un delirio».

Ma vi aveva avvisato prima o no?
«Sìììì… C’è tutto un cerimoniale. Con la sicurezza avevamo iniziato tre mesi prima. Lei aveva espresso il desiderio di visitare il laboratorio e poi venire a piedi in negozio. In piazza la gente l’acclamava. A metà strada una pizzeria voleva offrirle le pizze al volo. Una coppia le ha messo in braccio il bambino piccolo. Alla fine mi ha ringraziato per l’affetto: lei non è mai entrata completamente nel cuore degli inglesi».

Chi altro è entrato in negozio?
«Juan Carlos: amava cravatte scatenatine, corallo, arancione… Poi De Sica, Mastroianni. E Totò: per due anni venne in negozio a prendere lezioni per annodare il papillon».

Di fronte al vostro negozio c’era, e c’è ancora, la Villa Comunale.
«Poteva entrare solo la nobiltà napoletana a cavallo. Un picchetto di carabinieri controllava il grado di nobiltà. Il nostro negozio si riempiva di bei giovanotti che cercavano di intercettare lo sguardo delle signore, o speravano di vedere mezzo polpaccio o mezza caviglia».

Tutte queste cose chi gliele ha raccontate?
«Mio nonno, mio padre… Signora, io sono dall’età di 8 anni in negozio! Ero il predestinato: unico figlio maschio».

Magari sua sorella ci teneva.
«Maria Rosaria non si è mai interessata».

Il ricordo più bello con suo padre?
«Quando andammo insieme a Londra, avevo 16 anni: mi presentò come il futuro erede, mi sentivo importante. La città, poi, era così diversa… Le cabine, i pullman, le guardie, la regina… Fu una full immersion di emozioni».

Una immagine di lei bambino.
«Quando mio padre mi ha portato al Circolo Posillipo e ci siamo messi a giocare a pallanuoto. Avevo quattro anni. C’è una foto».

Suo nonno come lo ricorda?
«Rigoroso, serio, severo. Ero un po’ terrorizzato. Stavo in un angolo in negozio; appena mi muovevo lui mi guardava e restavo fulminato».

I momenti più emozionanti della sua vita?
«Tanti. Quando ho cominciato a giocare a pallanuoto in serie A, con il Posillipo. Mi aiutò mio padre. Tra noi c’erano 50 anni di differenza: io aprivo il negozio, spazzavo, facevo le consegne. Le giornate non finivano mai, la sera ero stanco… Ma lui insisteva…».

Per questo ha impiegato 14 anni a laurearsi?
«Seguivo i corsi serali per lavoratori, delle volte mi addormentavo…».

Dove ha trovato il tempo di conoscere sua moglie, se lavorava sempre?
«Per la verità ne ho conosciute un po’, di ragazze, anche prima di Lia. A 18 anni quando fai pallanuoto non ti mancano le occasioni. E poi c’è stato un momento in cui avevo i capelli…».

Che cravatta aveva quando si è sposato?
«Fino al giorno prima non ce l’avevo! Quando andai a salutare i ragazzi mi dissero: “Mauri’, ma te la vuoi prendere questa cravatta che oggi ti sposi?”. Ne presi dal banco una blu con un piccolo cerchietto bianco. È famosa quella a punta di spillo che usava Berlusconi».

Lui ne ordinava 3-400 al mese. È vero?
«Un Natale me ne chiese 2.700, chiudemmo per 6-700. Con lui facemmo le cravatte del G7: più lunghe per Eltsin che era un gigante; Mitterrand venne in negozio con il cardiologo».

Suo figlio Alessandro lavora con lei?
«Da un anno sta collaborando».

Perché è costretto o perché gli piace?
«È cresciuto a pane e cravatta, ma non è un animale da banco come me, segue la comunicazione, i social, Instagram. Ci siamo posti un traguardo: di arrivare almeno ai 200 anni».

È goloso?
«Non riesco a rinunciare al cornetto con il cappuccino freddo, anche d’inverno».

Maradona ha mai indossato la sua cravatta?
«Maradona era un poeta. Non abbiamo mai avuto velleità di mettergli la cravatta al collo».

Ha visto «Gomorra»?
«Non l’ho mai voluto vedere. Molti ancora mi chiedono: ma davvero succede tutto questo a Napoli?, Possiamo venire? A me dispiace. Anche il momento della spazzatura fu brutto».

È stato l’unico in cui ha pensato di chiudere.
«Per quasi un anno ho sostenuto un laboratorio che faceva solo 5 cravatte al giorno».

Cosa canta sotto la doccia?
«I Toto, George Michael, Stevie Wonder…».

Concerti?
«I Genesis li ho visti tantissime volte, Barry White due: una a Milano con gli Earth Wind & Fire; Elton John, Pino Daniele, Laura Pausini».

Film preferito?
«Tutti quelli di 007. Per Skyfall gli abbiamo fatto usare la nostra cravatta!».

Mi racconti subito come è andata!
«Signora, è stata una cosa rigorosissima: sono andate nel nostro negozio di Londra otto persone e hanno messo da parte 4 cravatte; poi altre otto che ne hanno messe da parte due; finché ne è rimasta una. Di quella ne hanno volute 24. Solo alla fine ci hanno detto che l’avrebbe indossata 007. L’apoteosi! Wow!».

Le hanno proposto tante volte di comprare la sua azienda. Perché non vende?
«Perché io vivo ancora un’emozione e un’emozione non riesco a valutarla»

Corriere della Sera